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Cosa sono le Rune

Di Daniela Ienna

 

Sono un alfabeto antico e misterioso, usato soprattutto dalle popolazioni Germaniche. Questo alfabeto lo chiamavano futurak, che era l’acronimo della sequenza delle prime sei rune: Fehu, Uruz, Thurisaz, Ansuz, Raido, Kaunaz. Ad ogni Runa corrisponde un segno e ad ogni segno corrisponde un suono, esattamente come succede al nostro alfabeto. La storia delle rune è molto complessa, questo perché nei secoli questa usanza è stata modificata da diverse popolazioni che hanno aggiunto o diminuito il loro alfabeto e di conseguenza i loro segni. La parola Runa, per la cultura Germanica significa mistero, segreto. La funzione delle rune serve a comporre parole, che a loro volta compongono frasi che illustrano concetti e veicolano il sapere, un sapere segreto ed esoterico detto a voce bassa, che viene bisbigliato e sussurrato dai maestri nelle orecchie dei discepoli. Le Rune sono talmente antiche che è difficile stimare la loro nascita. Si pensa che con la mescolanza delle culture, nacquero altre lingue e il linguaggio runico cominciò a perdere valore e finì per essere usato soltanto da maestri, alchimisti, sacerdoti neo pagani e pagani, per la divinazione o per consultazione degli Oracoli.

 

Le Rune hanno diversi utilizzi.

 

Queste pietre magiche possono essere usate per:

 

- La meditazione, focalizzando una runa ed il suo segno, riproducendo il suo particolare suono si viene stimolati verso un certo tipo di meditazione;

 

- La magia, poiché possono essere usate come talismani protettori o come amplificatori energetici i quali accresceranno alcune nostre caratteristiche. Vi sono rune ad esempio dotate di potere creativo, rune capaci di bloccare energie negative, rune perfette per consolare, rassicurare e concretizzare situazioni.

LE RUNE UNGHERESI

Non tutti sanno che accanto alla produzione della rune germaniche, britanniche o scandinave, esiste la realizzazione di rune particolari effettuata dalle arcaiche popolazioni Magiare stanziate nei territori della Mitteleuropea. Questa serie runica, chiamata “rovàsz”, ha in comune con la loro cugina nordica alcune strutture grafiche, alcuni significati simbolici e, sembra, anche certi valori fonetici. Dai reperti archeologici, risulta che le rune ungheresi venissero incise sulle pietre e sui manufatti ritualistici di argilla, sul legno e sul cuoio. Forse in misura maggiore per quanto accadde per il futhark, purtroppo le “rovasz” furono nella stragrande maggioranza distrutte durante l’evangelizzazione cristiana dell’Ungheria.

 

Principale responsabile fu il sovrano Stefano, poi dalla Chiesa di Roma elevato agli onori degli altari, che intraprese un’opera sistematica di annientamento e di distruzione dei preziosi manufatti ungheresi runici intorno l’anno Mille dell’era cristiana, perché considerati pagani ed opera del demonio. Infatti, re Stefano il Grande ordinò che tutti gli oggetti, i documenti e gli scritti in cui fossero comparse le rovasz venissero eliminati. Il risultato di questa grande opera di repressione della primigenia cultura magiara, fu che le popolazioni ungheresi persero la capacità di scrivere le proprie antichissime memorie, cancellando dalla loro storia documenti importantissimi ed oltremodo interessanti, ad eccezione di quelli composti in lingua latina e posteriori all’undicesimo secolo.

 

Attualmente sopravvivono pochissimi reperti o documenti scritti composti nell’alfabeto runico ungherese. Essi ci danno notizie, invero troppo frammentarie, sulla lingua e sugli usi delle popolazioni mitteleuropee del nord est europeo antecedenti l’evangelizzazione cristiana.

 

Durante il regno dell’intraprendente re Mattia Corvino (1458-1490), nell’instancabile sua opera, invero coadiuvato dalla colta consorte Beatrice d’Aragona d’introdurre in Ungheria i motivi del Rinascimento italiano e generalmente europeo, fu dato alla storia nazionale ungherese ed alle sue diverse documentazioni un ampio risalto e una diligente cura di conservazione. Noto in ogni parte per la sua istruzione, per la considerazione delle scienze e delle arti, re Mattia favorì la riscoperta anche delle antiche rune ungheresi delle quali si riuscirono a trovare riferimenti per gran lungo tempo dimenticati. Soprattutto, spettò a certi esponenti della cultura magiara della Transilvania occidentale il merito di aver preservato e custodito il procedimento dell’arcaica scrittura runica ungherese.

 

Fu forse grazie al rinnovato interesse per le “rovasz” che certi scalpellini, o architetti, poterono incidere in alfabetico runico ungherese i loro nomi sull’architrave della porta d’ingresso della cattedrale di Czisentzmihaly, nel XVI secolo.

 

Queste rune furono ricopiate negli ultimi anni del ‘700 dallo studioso di folclore Imras Dezserinszky, ed integralmente pubblicate a Budapest nel 1753.

 

Un’altra iscrizione runica ungherese del 1668 fu ritrovata incisa sulle colonne di una chiesa campestre, nel 1822 in Transilvania. Un’altra ancora fu scoperta a Costantinopoli nel 1913 nel corso di una campagna di scavi archeologici nei sotterranei della metropoli: l’iscrizione sarebbe stata fatta eseguire a scopo commemorativo dai membri di una delegazione diplomatica ungherese in visita ai palazzi del sultano Selim Pascià nel 1515.

 

Inoltre, sul finire del secolo XVII, l’antropologo italiano Luigi Ferdinando Marsigliascoprì addirittura la composizione di un intero calendario annuale in alfabeto runico magiaro nel corso di un viaggio nella Transilvania romena. Il documento, copiato con cura e con attenzione nei minimi dettagli, è tuttora conservato presso la biblioteca storica dell’Università di Bologna, città di nascita dello studioso. Oltre a tutto ciò circolano ai nostri giorni teorie secondo le quali, sulla scorta di ritrovamenti celebri come il medaglione runico di Tatarlakai in Romania, le rune magiare sarebbero più antiche di tutti gli altri sistemi alfabetici, e capostipiti del futhark germanico e scandinavo, risalirebbero addirittura a sessantacinque secoli prima della nascita di Cristo, seconda la datazione eseguita con il carbonio C 14.

 

Infine c’è da dire che, stando ai diari dell’ambasciatore romano Servo Prisco, le popolazioni unne, antenate degli ungheresi di oggi, avrebbero conosciuto bene le “rovasz” e che gli scrivani di Attila avrebbero utilizzato l’alfabeto dei loro antenati invece della lingua ed i caratteri latini.

Di Daniela Ienna

Le rune di Marpha

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